venerdì 29 agosto 2014

CATTOLICESIMO E GUERRA

   Sono ancora i fatti tragici di cui ci giunge notizia, in questi giorni, dal Medio Oriente e soprattutto da Siria ed Iraq, fatti che presentano aspetti inediti, malgrado il prolificare di ogni sorta di conflitti, soprusi e violenze, da quelle parti, sia purtroppo una costante ormai da moltissimi anni, per via del tipo di minaccia che si è venuto a concretizzare, della sconvolgente brutalità delle azioni omicide e di pulizia etnica messe in atto e dal fatto che siano, per la prima volta da tempo, intere comunità cristiane a vedere a rischio la propria stessa esistenza fisica, a spingerci a qualche riflessione e precisazione su quali reazioni siano effettivamente da considerarsi lecite, ed anzi doverose, secondo l'autentica Dottrina cattolica tramandatasi nei secoli e non contestabile da nessuno che voglia mantenersi rigorosamente fedele agli insegnamenti della Chiesa, quali misure di difesa estreme in situazioni di pericolo eccezionali, nelle quali belle parole e preghiere assolutamente non possano più bastare.
   Il Cristianesimo nasce indubbiamente quale portatore di un rivoluzionario messaggio di perdono delle offese subite, di amore e di pace, in un'epoca in cui guerre di conquista, ribellioni violente e leggi del taglione, peraltro sanzionate dalle stesse religioni preesistenti, sono allegramente all'ordine del giorno. L'insegnamento del Cristo è invece di amare chi ci odia e di porgere l'altra guancia, il che, sebbene, sia chiaro, non voglia per nulla dire trasformarsi in imbelli rinunciatari all'affermazione della giustizia terrena e alla legittima difesa, costituisce pur sempre un fatto scioccante senza significativi precedenti e destinato a non essere molto ricalcato neppure dalle altre fedi che vedranno la luce in seguito, in particolare proprio da quell'Islam al centro della tragedia che si sta oggigiorno consumando: è appunto il libro sacro dei musulmani, il Corano, ad esempio, a prescrivere (IX,5): "Uccidete i politeisti, ovunque li troviate, (...), assediateli ed opponetevi ad essi, in tutte le loro imboscate".
   E non si tratta soltanto di "teoria" o di espressioni metaforiche: già lo stesso fondatore di quella religione, Maometto (e non, quindi, qualche suo successore d'epoca posteriore, che potrebbe anche avere travisato un diverso messaggio originario), prima di morire conquista  a mano armata fior di territori e dissemina la sua strada di cadaveri. Ricordiamo tutti lo sbottare del compianto don Gianni Baget Bozzo, in una trasmissione televisiva di qualche anno fa, contro il bellimbusto di turno che intendeva spacciare la solita favoletta dell'Islam "religione di pace": "Basta! Non possiamo mettere sullo stesso piano il Cristianesimo, che è nato con i martiri, con l'Islam, che è nato con la spada in mano!".
   Fermi nei propri propositi, infatti, i cristiani muovono i loro primi passi all'interno dell'Impero Romano pagano: non rivestendo ancora nessuno di essi responsabilità politiche, possono permettersi di non porsi neppure il problema di eventuali guerre con altri popoli, offensive o difensive che siano, le quali rimangono, ovviamente, affari dell'Imperatore, mentre, allo scatenarsi delle persecuzioni, riguardo alle loro stesse persone, mettono eroicamente in pratica la nonviolenza evangelica avviandosi, per lo più inermi e sereni, incontro al martirio.
   Nell'anno 380, però, il Cristianesimo, già religione "lecita" e parecchio favorita sotto Costantino, diviene, con l'Imperatore Teodosio, addirittura religione di stato nonchè l'unica consentita entro i confini dell'Impero.
   Di fronte alla nuova responsabilità del governo della più grande potenza del mondo, non si può più ignorare il fatto che non è possibile escludere a priori che ci si possa trovare costretti ad affrontare, prima o poi, un conflitto armato, non fosse altro come "extrema ratio" contro aggressioni violente ed inique ed in difesa dei giusti.
   La Fede cristiana, come già detto, non ha mai negato a nessuno in  alcuna delle sue fonti, a partire da quelle evangeliche, il diritto alla legittima difesa individuale o collettiva: nel 3° capitolo del Vangelo di Luca, ad alcuni soldati che gli chiedono cosa debbano fare per farsi battezzare, Giovanni Battista risponde di accontentarsi delle loro paghe e di non portare via soldi a nessuno con la violenza, non certo di cambiare mestiere in quanto quello del militare abbia qualcosa di sconveniente, e Cristo permette senza problemi che Pietro (come presumibilmente anche altri apostoli) porti una spada con sè. Nello stesso esercito della Roma pagana, poi, i cristiani non mancavano di certo e molti sono gli episodi di martirio di soldati rifiutatisi di sacrificare agli dei pagani o di compiere stragi, come nel caso della famosa "legione tebana" comandata da S. Maurizio.
   Sorge quindi l'esigenza di regolamentare teologicamente la materia "guerra", al fine di stabilire a quali condizioni questa possa considerarsi lecita e quali siano i limiti da non superare affinchè non si cada nell'infrazione della legge divina. Nel 19° libro della sua monumentale opera "De civitate Dei", scritta tra il 413 ed il 426, sullo sfondo di un Impero ormai sconvolto dalle invasioni barbariche, è il Padre della Chiesa S. Agostino a farlo, affermando che, quando aggressori ingiusti rompono il "tranquillitas ordinis" (cioè la pace internazionale) e mettono in pericolo un popolo, le autorità di questo popolo hanno il dovere di difenderlo e di operare per ripristinare le condizioni minime di un assetto internazionale regolato dal diritto, se necessario con la forza militare.
   Secoli dopo, S. Tommaso d'Aquino, nella sua "Summa theologiae", parla di una possibile "guerra giusta" a patto che: a) sia indetta da capi di stato e non da "privati" (moderno principio del monopolio statale dell'uso della forza); b) abbia una causa giusta, ovvero ripari ad ingiustizie; c) sia condotta con retta intenzione, con carità, senza crudeltà o cupidigia, per amore della pace e per soccorso ai buoni. Anche se guidata da una legittima autorità e per una giusta causa, una guerra può infatti divenire illecita se animata da intenzioni di sopraffazione e di conquista andanti oltre la semplice esigenza di difesa e di ristabilimento del diritto.
   Sono quelli anzidetti i principi che, in ogni tempo, devono informare la condotta dei cristiani di fronte all'eventualità di crisi che comportino anche l'imbracciare delle armi.
   Per venire ai nostri giorni, lo stesso Catechismo della Chiesa cattolica del 1997, citando la Costituzione "Gaudium et Spes", ancora una volta ribadisce che la legittimità morale di una guerra "spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune. Coloro che si dedicano al servizio della Patria nella vita militare sono servitori della sicurezza e delle libertà dei popoli. Se rettamente adempiono al loro dovere, concorrono veramente al bene comune della Nazione e al mantenimento della pace".
   La situazione mediorientale di questi giorni è tale da rendere straordinariamente attuale, come non lo era stato ormai da tanto tempo, il dibattito sui temi fin qui esaminati.
   Intrerrogato recentemente su cosa si possa e debba fare contro l'avanzata e la violenza cieca dell'ISIS sulle popolazioni travolte, Papa Francesco ha fornito risposte in termini forse troppo "prudenti", che hanno indignato molti, i quali avrebbero gradito da lui un linguaggio più esplicito e meno ambiguo. Personalmente amo pure io il parlare senza peli sulla lingua ed ho spesso rispettosamente disapprovato il "dire non dire", l'arrabattarsi nel tentativo di non dispiacere a nessuno tipico dello stile oratorio  dell'attuale Pontefice, ma penso anche di capire la difficoltà che comporterebbe l'usare termini ormai decisamente troppo desueti, il parlare magari di "guerra giusta" ad un uditorio mondiale del 2014 non più preparato a ciò, nel quale non è prevedibile lo scompiglio che simili parole, sia pure pienamente appropriate e giustificate, potrebbero provocare, e credo che, tutto sommato, il Santo Padre non abbia dato risposte in contrasto con quanto prescritto dalla Dottrina tradizionale in fatto di reazioni militare legittime.
   In buona sostanza, Papa Francesco ha giudicato lecito "fermare" un aggressore ingiusto e violento come l'ISIS, ed ha sottolineato (con precisazione forse effettivamente non troppo felice) "fermare, non bombardare o fare la guerra". Va da sè, però, che un avversario come quello, che ti taglia la testa prima di chiederti come ti chiami, non lo puoi "fermare" se non con l'uso di qualche arma, ed inoltre il Ponteffice ha anche proposto di interessare della faccenda le Nazioni Unite (altra cosa che non è andata giù a molti, ma non è questa la sede per approfondire ciò) affinchè decidano loro i mezzi con i quali appunto "fermare" i terroristi; e quali mezzi potrebbero mai scegliere le Nazioni Unite, in una circostanza estrema simile, se non le armi?
   Quanto, infine, al non doversi "bombardare, fare la guerra", se non si decontestualizza questa frase dal discorso in cui è inserita, si rileva che, appena dopo, il Papa ha aggiunto: "Quante volte, sotto questa scusa di fermare l'aggressore ingiusto, le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto al guerra di conquista". Dunque, mi sembra chiaro che intendesse semplicemente mettere in guardia le potenze intervenenti dalla tentazione di "fare la guerra per la guerra", dal fare cioè dell'ineluttabilità dell'intervento contro l'ISIS il pretesto ed il punto di partenza per operazioni aggressive con obiettivi ben al di là del sacrosanto dovere di fermare l'aggressore e di annullarne le capacità offensive, anche con l'uso delle armi non oltre la misura necessaria, da tutti condiviso.
   Proprio quella forma di degenerazione di un'operazione originariamente giusta in una guerra di sopraffazione e di conquista che, abbiamo visto, viene bollata come illecita, prima di tutto, da S. Tommaso.
Tommaso Pellegrino

1 commento:

mardunolbo ha detto...

Purtroppo questa componente di "dire e non dire" atribuita, giustamente, al papa Bergoglio, è la nota dolentissima che travaglia la chiesa dal Concilio in poi.
Infatti la foga ,ben delineata dalle parole di Roncalli, di andare incontro al mondo ha generato quella confusione di coscienze e di dottrina che ha, alla fine, mistificato quel che è la vera fede cristiano-cattolica fino a renderla uguale ,o sullo stesso piano, della religiosità ebraica e di quella islamica.Senza che nessuno dei vari capi della chiesa cattolica, che si sono succeduti dal Concilio VatII in poi, abbia mai sottolineato la fondamentale e sostanziale differenza che il Cattolicesimo crede in un Dio Trinitario (Rivelato!) diversamente dalle altre due, di cui una è invenzione completa e radicalmente umana di un omicida che ha copiato ingloriosamente da fede ebraica e cristiana, spacciandola per rivelazione divina.